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Martinica, eruzione del vulcano La Pelée (8 Maggio 1902)

Testo: Vito La Colla

   LA TESTIMONIANZA DI CLERC

   Giova, a conclusione, citare una testimonianza di un certo Fernand Clerc, un ricco piantatore della Martinica, che si accorse, un'ora prima della tragedia, che il suo barometro sembrava impazzito: la lancetta continuava a vibrare, ad oscillare vistosamente. Preso da un presentimento, organizzò in pochi minuti le carrozze e con la sua famiglia si trasferì in una delle loro case di campagna, sulle colline attorno alla città, a cinque chilometri da Saint-Pierre. Il breve corteo passò anche davanti all'abitazione del console americano Prentiss: con notevole incoscienza, lui e la moglie erano affacciati al balcone, ignari del loro imminente tragico destino. Clerc li invitò a scendere, e ad unirsi a loro nella fuga, ma gli americani rifiutarono.

   Il viaggio, in preda all'angoscia, durò una quarantina di minuti, e Clerc e i suoi erano appena scesi dalle carrozze, quando il vulcano La Pelée esplose. Impietriti dal terrore essi videro l'enorme nube nera che si dirigeva a grande velocità verso la cittadina "come un grande torrente di nebbia scura, accompagnata da un boato continuo di colpi, distinti uno dall'altro..."

   In dieci minuti la coltre di nubi oscure avvolse la casa, e tenebre impenetrabili impedivano a ciascuno di poter vedere i suoi vicini, che potevano essere individuati solo a tentoni.

   La pioggia di cenere calda cadeva sulla tenuta, impedendo il respiro. Passati una ventina di minuti, racconta sempre Clerc, un forte vento, levatosi improvvisamente, spazzò via le ceneri e la soffocante nube.

   Apparve, tremendo, lo spettacolo di Saint-Pierre che bruciava. Clerc, con notevole coraggio, scese a piedi verso i primi sobborghi.

   "Le parole o la penna non potranno mai descrivere lo spettacolo che si aprì alla mia vista. Ovunque attorno a me c'erano parenti o amici che bruciavano. Capii che non potevo essere di alcun aiuto: erano tutti morti, nessuno era rimasto vivo. Mi affrettai a tornare alla fattoria in campagna e alla prima occasione mandai la mia famiglia alla Guadalupa".

   Certamente, altri si salvarono dall'ecatombe, perchè ebbero la prontezza di scappare alquanto prima dell'esplosione. Ma di quelli che rimasero nella "Silent City of Death", come la ribattezzarono i giornali americani, si salvarono, su trentamila-quarantamila abitanti, solo Léon e Auguste.

   LA "POMPEI D'AMERICA"

   Il resto dell'isola rimase all'oscuro di quanto accaduto a Saint-Pierre per numerose ore. Solo verso mezzogiorno, vista l'impossibilità di raggiungere la città via terra, il governatore inviò una nave da guerra. Dal ponte gli ufficiali scrutarono, da lontano, con cannocchiali: nessuna persona si muoveva fra le rovine fumanti, nessun superstite implorava aiuto. Si resero ben presto conto del fatto che non c'era più nessuno da soccorrere.

   Arrivarono da tutto il mondo, anche dal re d'Italia, Vittorio Emanuele III, aiuti in denaro; Roosevelt inviò prontamente soldi e aiuti di ogni genere, che servirono solo per i sopravvissuti nelle immediate vicinanze della città distrutta. Grandi servizi giornalistici apparvero sui quotidiani in Europa e in America, inviati speciali e celebri geologi e vulcanologi si recarono in quella che fu subito battezzata "la Pompei d'America"; studiarono a lungo l'evento, anche per poter imparare a prevenire ulteriori simili tragedie in futuro, in ogni parte del mondo.

   I vulcanologi che studiarono l'accaduto, scoprirono che la terribile nube piroclastica non era precipitata sulla città solo per gravità, come si era pensato in un primo momento, ma anche spinta da violentissime pressioni laterali, come da un enorme cannone; queste pressioni provenivano dal cratere formatosi nello Stagno Secco, inclinato verso l'abitato.

   Infatti colpirono la sventurata città di Saint-Pierre non solo gas irrespirabili e cenere, ma anche massi grossi come case, enormi lapilli, scagliati con forza contro gli edifici dalle possenti mura.

   Altre esplosioni si verificarono sul vulcano maledetto in quell'anno 1902; soprattutto quella del 16 dicembre fu spettacolare, con la nube ardente - che non poteva più uccidere nessuno - che rotolava dalle pendici e poi si elevava, man mano, fino a 4000 metri.

   In effetti il disastro del La Pelée ricorda da vicino la tragedia di Pompei, soprattutto per le avvisaglie ignorate e poi per la subitaneità dell' "onda della morte". Solo che Pompei ed Ercolano furono sepolte, e lo rimasero per secoli, da un funereo manto di cenere.

   Nel caso del Vesuvio gli strati di questo materiale, che in molti casi superava i cinque metri di spessore ed era mescolato a pezzi di roccia e di pomice, si compattarono e vennero come saldati dalle piogge che caddero sulle pendici del vulcano.

   Oggi, nella Saint-Pierre risorta dal disastro di un secolo fa, si puo' visitare un museo che ospita fotografie e oggetti che testimoniano quel lontano cataclisma. Ma accanto alla città nuova si possono visitare, con commozione, le rovine del 1902.

   Il Secolo Ventesimo, appena iniziato, si presentava con questa tragedia della natura, che molto commosse e colpì gli uomini in tutto il mondo.

   Di lì a sei anni un altro disastro, ben più tragico e sconvolgente, distruggeva Messina e Reggio Calabria, causando la spaventosa cifra di centoventimila vittime.