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Bergeggi: una piccola isola dai grandi misteri
Testo: Ermanno Sommariva
Da oggi il nostro portale si arricchisce di un nuovo scoop, l’intervista (immaginaria, ma esclusiva) ad Eugenio da Cartagine: voglio che sia lui stesso a presentarsi.
D. Racconti brevemente ai nostri lettori chi è e da dove viene.
R. Il mio nome è Eugenio, sono passato su questo mondo a cavallo fra il V e il VI secolo, in un posto dove oggi molti di voi vanno in vacanza, ma che ai miei tempi non era certamente un luogo facile dove vivere. Cartagine verso la fine del 400 D.C. era occupata dai vandali di Unerico, di religione ariana, un tipo che definire estremamente intollerante verso noi cristiani è solo un eufemismo.
D. Quindi Lei può considerarsi una vittima ante litteram dell’intolleranza religiosa?
R. In un certo senso, si. Quando nel 481 venni nominato Vescovo di Cartagine, potete immaginare quanto potesse esserne felice la popolazione locale, che da cinque lustri non aveva la gioia di poter salutare il proprio Vescovo, dato che la carica era vacante.
Unerico, infatti, sotto le pressioni dei miei confratelli, aveva concesso il Vescovo ai Cattolici della città a patto che non interferisse con le abitudini, i costumi e le credenze degli Ariani, e dei loro Vescovi eretici, pena l'esilio di tutto il clero africano.
D. Bene, fu quindi il popolo Cristiano a reclamare a gran voce il proprio Vescovo: ma Lei fu sempre rispettoso dei patti imposti, non è vero?
R. La mia gratitudine a nostro Signore, mi spinse a non violare il patto imposto dal terribile Unerico, per non privare i miei fratelli della loro guida. Cercai in ogni modo di andare d’accordo con gli ariani, smussando ogni motivo di contrasto e cercando di abbattere ogni muro di incomprensione, aprendo le Chiese di Cartagine a chiunque volesse entrarvi: Gesù ci ha insegnato a praticare la carità e non vedo il motivo per cui io avrei dovuto comportarmi diversamente, dato che tutti gli uomini sono fratelli.
D. Ma fu proprio la sua tolleranza e il suo rispetto a infastidire il potere costituito.
R. Purtroppo si: gli ariani di Unerico cercarono di cogliermi in fallo, per scoprire un eventuale violazione del patto, ma la mia Fede fu più forte della loro malizia: ciononostante, iniziarono a perseguitare apertamente noi Cattolici, alcuni miei fratelli vennero bruciati vivi, e nonostante l’intervento dell’Imperatore bizantino, io stesso venni esiliato in una colonia agricola nel sud dell’odierna Tunisia.
D. La sua fu una fuga avventurosa e rocambolesca, da come si racconta
R. Era il 485 e la leggenda narra che la vigilia della esecuzione, un Angelo del Signore apparve a me e a mio fratello in Cristo Vendemmiale, ordinandoci di fuggire e di raggiungere uno scoglio dinanzi all’isola di Djerba: si spezzarono le catene, si aprirono le porte, uscimmo dalla città, indisturbati verso il mare. C’era una barchetta pronta e con essa arrivammo ad uno scoglio vicino. Sbarcammo sullo scoglio che era illuminato in vetta da una misteriosa luce: udimmo una voce imperiosa che disse “andiamo!”, e lo scoglio si mosse. Passammo la Sicilia, il Tirreno e giunti nel Golfo ligure di fronte alla città dei Vadi Sabazi (l’odierna Vado Ligure), a poca distanza dalla costa, lo scoglio si arrestò.
Un sentiero nell'isolotto (che si nota ancora oggi) ci consentì di raggiungere la barchetta con cui eravamo giunti sullo scoglio. Nel frattempo, una folla proveniente da Spotorno sino a Celle Ligure si era radunata per assistere al prodigio.
D. Fu l’inizio di una proficua predicazione.
R. Ponemmo piede in terra di Liguria dove predicammo con convinzione la fede di Cristo tra quelle genti pagane. Ma ogni sera tornavamo al loro rupestre isolotto, detto di Bergeggi, che da allora non si mosse più. Qualche tempo dopo, mio fratello Vendemmiale mi lasciò solo a Bergeggi per portare la Parola di Dio nell'isola di Corsica. Per anni continuai a vivere da eremita sull'isola portato a riva da un brav'uomo, il primo che avevo battezzato e che sempre mi era stato devoto. Quando infine il Padreterno mi chiamò, la mia anima volò da Lui, che permise che il mio corpo si conservasse intatto nei secoli.
D. Ma il popolo ligure non lo dimenticò mai.
R. La gente di Bergeggi costruì una chiesa sull'isola dove continuai ad essere venerato con molta devozione. Qualche secolo più tardi, il vescovo di Savona, Bernardo, fece erigere un monastero o Badia di San Eugenio che, con atto del 992, donò ai monaci benedettini di Lerino. Nel 1252 i monaci se ne andarono lasciando il monastero alla diocesi di Noli. Il mio corpo fu portato a Noli e l'isolotto con le sue costruzioni venne ricoperto di erbe selvatiche.
D. Perché decise di tornare sulla sua amata isoletta?
R. Non ne volevo sapere di allontanarmi da Bergeggi e la notte del 13 Luglio (anniversario della mia morte) in compagnia del mio fido nocchiero tornai dal Paradiso e dopo che la mia anima fu rientrata nel corpo, salimmo sull'antica barchetta e tornammo all'isolotto di Bergeggi che avevo sempre amato con tanto ardore. Molti dalla costa che avevano osservato il prodigio giunsero sulla riva e lì come voleva la tradizione furono benedetti per l'ultima volta, prima che il mio corpo e la mia anima tornassero a separarsi, il primo per riposare sul’isolotto, la seconda per ricongiungersi al Divino.
Nel 1588 le mie spoglie vennero traslate definitivamente a Noli, dove sono tuttora custodite nella chiesa di San Paragorio, ma ogni anno, il 13 luglio, in occasione della ricorrenza di Sant'Eugenio (sono il Patrono del paese), una processione di barche parte da Noli ed approda sull'isola portando le mie spoglie in visita al mio amato eremo.
D. Molto affascinante la storia dell’isola di Bergeggi, credo che sia piaciuta molto anche ai nostri lettori: conosce qualche altra vicenda misteriosa legata alla sua cara isoletta?
R. Bè, una ce l’avrei, anche se la trama è indubbiamente più profana e tutt’altro che Sacra.
Parla di una storia d’amore impossibile fra Ines, la figlia di un nobile di Bergeggi e Achmet, un Principe saraceno che seminava il terrore fra le popolazioni liguri.
Siamo nel X secolo, nella zona più alta di Bergeggi viveva un nobile, con i figli Roberto e Ines, in una torre fortificata, costruita appunto per contrapporsi alle frequenti incursioni saracene di quel tempo.
Fu proprio durante una forzata assenza del nobile, che i turchi assaltarono la torre: Roberto fece da scudo col suo corpo ai colpi di scimitarra che stavano per colpire la sorella e tale nobile atto di coraggio colpì profondamente gli assalitori, primo fra tutti il principe Achmet, che rimase ancor più folgorato dalla bellezza di Ines, affranta dal dolore per la morte prematura del fratello.
Accecato dalla passione, Achmet fece costruire per Ines sull’antistante isola di Bergeggi un grande castello dotato di uno splendido loggiato eretto in posizione panoramica: qui, ogni volta che Achmet tornava dalla sua amata, la affascinava raccontandole per ore le storie intriganti di mondi lontani e fantastici, accrescendo il suo tenero amore per il suo ex carnefice.
D. E’ ovvio che la storia non può avere un lieto fine.
R. No, purtroppo: i liguri non potevano accettare che a così breve distanza dalla costa esistesse una fortificazione nemica e fu per questo che si mosse la temibile flotta della Repubblica di Genova, alla vista della quale, Achmet capì che doveva fuggire dalla sua isoletta, non prima di avere donato alla sua amata Ines un magico anello con una pietra miracolosa, la cui luce si sarebbe offuscata ogniqualvolta lui si fosse trovato in difficoltà.
Achmet affrontò il nemico, ma non attaccò le galee: si recò da solo fra le schiere nemiche e chiese un colloquio del condottiero cristiano, che era proprio il nobile di Bergeggi. A lui rivelò il luogo dove egli avrebbe potuto riabbracciare sua figlia e il principe saraceno scomparve con le sue navi all’orizzonte.
Qualche tempo dopo, l’anello di Ines si offuscò e lei passò intere giornate a scrutare l’orizzonte, nella vana speranza di veder riapparire le navi del suo amato.
Dopo anni di inutile attesa, il castello ormai in rovina e le speranze ormai sopite fecero morire di dolore la povera Ines.
Molti anni dopo, sul’isola venne costruito il Monastero che portava il mio nome: un giorno vi sbarcò un anziano pellegrino che chiese ospitalità, che i Monaci concessero di buon grado. Gli affidarono una cella, dalla quale si vedevano le rovine del castello, verso le quali il pellegrino sussurrava gemendo ogni giorno il nome di Ines, fino a quando, poco tempo dopo morì: era il principe Achmet, tornato inutilmente a cercare la sua amata.
Si narra che ancora oggi, in certe notti di luna piena, si possono scorgere i due innamorati che teneramente camminano insieme sull’isola, mano nella mano.
D. Davvero struggente questo racconto. Ma perché non ci parla di qualche altro eremita che come lei abbia deciso di trascorrere la sua esistenza in un luogo tanto appartato e minuscolo?
R. Potrei raccontarle degli stessi monaci che dal 922 vissero nel Monastero che portava il mio nome, oppure… Si, c’è un altro eremita che visse su un’altra isoletta qui nei paraggi.
Parlo dell’isola Gallinara e di Martino di Tours, che nel IV secolo si rifugiò sull’isola “delle galline selvatiche”, per fuggire come me dalle persecuzioni ariane.
San Martino, originario della Pannonia (l’odierna Ungheria), è noto soprattutto per l’episodio del mantello, reciso con un colpo di spada per dividerlo con un povero: ebbene, a lui si deve l’evangelizzazione di buona parte del Ponente ligure e la fondazione di un monastero, che dal 500 sopravvisse per secoli grazie ai Monaci Benedettini, almeno fino al 1473.
Secondo molti studiosi, è dovuta proprio ai Benedettini della Gallinara l’invenzione delle “fasce”, la coltivazione mediante la tecnica del terrazzamento che, nel corso dei secoli, ha spinto milioni di muri a secco dal mare fino alla montagna, per coltivarvi alberi da frutta, cereali e soprattutto ulivi, particolarmente delle varietà “taggiasca”.
D. Per concludere la nostra intervista, ci racconti il motivo per cui ha amato ed ama tanto questa zona della Liguria e la sua gente.
R. Potrei parlarle della vicina cittadina di Noli, la cui storia è sconosciuta a molti, dato che pochi sanno che le Repubbliche Marinare non furono soltanto quattro, come si impara a scuola, ma che la quinta Repubblica fu proprio quella di Noli: così potrei darle ad intendere che il mio amore per questa zona della Liguria nasca dall’orgoglio indipendentista della Repubblica di Noli, che rimase libera dal 1192 al 1797 (sebbene dal 1202 alleata con Genova), fino allo status quo imposto dall’oppressore napoleonico, oppure potrei raccontarle come la stessa Noli partecipasse eroicamente alla prima Crociata nel 1097.
O più semplicemente mi basterebbe segnalarle, caro Sommariva, lei che porta un cognome di origine ligure, come questa terra abbia dato i natali a celebri e illustri navigatori come Antonio da Noli, il quale nel 1460 salpò per attraversare le Colonne d’Ercole per discendere l’Atlantico e scoprire le Isole del Capo Verde.
Per non parlare di Cristoforo Colombo, che pochi sanno che nel 1476 partì dal porto di Noli alla volta dell’Olanda, ma a seguito di un’incursione di una non meglio specificata “flotta avida di bottino”, fu costretto a prender terra a nuoto in Portogallo, per poi trasferirsi in Spagna, da dove pochi anni più tardi partì per la scoperta dell’America: è vero che Colombo era convinto di navigare alla volta delle Indie, è vero altresì che probabilmente forse i Vichinghi o altri raggiunsero prima di lui le Americhe, ma è altrettanto vero che Colombo lo fece intenzionalmente, intuendo prima di tutti che se la Terra era rotonda, allora era possibile navigare verso occidente, per raggiungere le terre d’oriente: in questo senso la sua fu la più grande impresa marinara dell’Era moderna, che non sarà mai scalfita da nessun invidioso che cerchi di sminuirne la portata.
La verità, però, è che al di là del mio tenero affetto per la Liguria, per la sua gente, per il suo clima dolce e i suoi paesaggi affascinanti, la scelta di venire qui non fu mia: il vero motivo per cui amo questa terra è dovuta al fatto che fu la volontà di Dio a farmela scoprire, e se il Signore chiama, ogni Cristiano ha il dovere di rispondere. Io sono un umile servitore di Cristo, che ha creduto addirittura che un’isola potesse attraversare il Mediterraneo, l’esempio vivente che la Fede che può “far muovere le montagne” non è soltanto lettera morta, ma una realtà alla portata di chi ha la fortuna di credere con tutto se stesso che Gesù Cristo è realmente il Figlio di Dio e che per Lui tutto è possibile.
Questa è la leggenda di Eugenio da Cartagine, che è tuttora celebrata ogni anno dalla Chiesa locale: va detto, tuttavia, che secondo alcuni studiosi, Sant’Eugenio non visse gli ultimi anni della sua vita in Liguria, ma venne esiliato in Linguadoca, nella Francia meridionale, dove sarebbe morto, ad Albi, nel 505.
Oggi, l’isola di Bergeggi (44°13'59.33 N - 08°26'41.57 E) fa parte della Riserva naturale regionale di Bergeggi, è costituita da un cono di roccia calcarea che raggiunge i 53 metri di altitudine. Pare che in tempi remoti l'isola fosse collegata alla costa da una stretta lingua rocciosa, poi demolita dal moto ondoso. Oggi si presenta rocciosa e dirupata, coperta solo in parte da vegetazione mediterranea. Sulle rocce bagnate dalle onde si trovano il finocchio di mare e la statice della riviera, oltre ad altre specie quali la campanula sabatia e l'euphorbia dendroides.
Il Decreto ministeriale del 7 maggio 2007, ha reso effettiva l'istituzione dell'Area naturale marina protetta Isola di Bergeggi, comprensiva dela zona marina circostante l'isola, per via delle caratteristiche dei fondali dal punto di vista biologico: dista dalla terra ferma (Punta Predani) poche centinaia di metri.
Passiamo ora ai links, sono diversi i siti che si occupano della leggenda di Sant’Eugenio.
Ne fa menzione Wikipedia, alla voce “Isola di Bergeggi”, ma anche il portale VisitRiviera ne parla diffusamente.
Dell’episodio della partenza di Cristoforo Colombo dal porto di Noli, ci informa il sito Viaggi nella Storia